Quelli dalle labbra bianche di Francesco Masala
[…] Sono nato in un villaggio di contadini
e di pastori, fra
Goceano e Logudoro, nella Sardegna
settentrionale e,
durante la mia infanzia, ho sentito
parlare e ho parlato
solo in lingua sarda: in prima
elementare, il maestro,
[…], ci proibì, a me e ai
miei coetanei, di parlare nell’unica
lingua che conoscevamo
e ci obbligò a parlare in lingua
italiana, la «lingua
della Patria», ci disse. Fu così che,
da vivaci e intelligenti
che eravamo, diventammo, tutti, tonti e
tristi.
In realtà, la lingua sarda è il
linguaggio del grano, dell’erba
e della pecora ma è, anche, la lingua dei vinti: nelle
scuole, invece, viene imposta la lingua dei vincitori,
chiamiamola pure il linguaggio del
petrolio e del catrame,
cioè la lingua della borghesia italiana
del Nord, che
ha concluso il Risorgimento
colonizzando industrialmente
il Sud ma convincendoci di aver unificato la Patria.
È proprio vero che, in Sardegna, gli
unici «italiani»
sono
gli «intellettuali», che parlano in «italiano» ma mangiano in «sardo». pg 123.
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